martedì 1 novembre 2011

KLOSE E I GOL SENZA ECCESSI, L' ESULTANZA DA OPERAIO DI UN CENTRAVANTI DI MARMO



Nel calcio degli eccessi fa scena il nulla. Sant’Elia di Cagliari, primo tempo in scadenza, cross al volo di Cisse, Klose si tuffa di testa, Miro-tiro-gol, rete-partita-incontro per la Lazio. Lui cade, si rialza, niente. Non cambia espressione, fissi gli occhi, strette le labbra. Non corre  verso nessuno, cammina, indicando con il dito, e con grande educazione, il compagno che gli ha fatto l’assist. Non esulta, non sbraca, ha fatto il suo dovere e torna a casa. Sembra un operaio delle fabbriche di Lodz, prima della caduta del Muro, uno che ha finito il turno con decente soddisfazione, ma lo aspettano un casermone e un minestrone: nulla per cui gioire o affrettarsi. Klose è una perfetta metafora dell’esistenza depurata dall’ipotesi di Dio: tende al nulla. Prima, però, succede di tutto: colpi di testa e di piede, compagni presi per mano, allenatori salvati sul precipizio e gol, dappertutto, campionati nazionali, europei, mondiali. Klose è un mistero glorioso. Gli altri dopo un golletto impugnano mitragliatrici e ciucci, evocano treni e aeroplani, mostrano murales sulla maglietta della salute. Rocchi sarà pure arrivato a quota cento, ma sembrava che per questo avesse ottenuto un buono per risorgere. Lui fa gol splendidi e, come si sarà capito: nulla. Solo dopo quello nel derby si è scoperto che ha i denti. C’è chi ha preteso e ottenuto ingaggi favolosi per sparire dai teatri del calcio e recitare in cantina. Lui si è dimezzatolo stipendio pur di avere una maglia da titolare e puntare all’Europeo nella sua Polonia. Dietro quel muso lungo, quella serietà da delegato sindacale dei tornitori, si nasconde un ragazzo con una sola pretesa: giocare. E facendolo dà l’impressione che qualcuno abbia messo su YouTube un filmato in bianco e nero di vecchie partite, quando c’erano lo stopper, l’ala tornante e, là davanti, lo dice la parola stessa, il centravanti. Che non copriva e non dialogava, faceva la sola cosa per cui era pagato: tiro-gol. Alla Miro, appunto. Ci voleva un altro highlander come Reja per scommettere su uno così. Pensionato nel Bayern, ancora attivo in nazionale, andavi ai mondiali e lo trovavi sempre, seduto a tavola tra i cannonieri, con il tovagliolo ben posato sulle gambe, l’occhio all’orologio e guai a chi tarda più di cinque minuti, che si fredda il minestrone. Klose è un polacco svizzero che si spaccia per tedesco. Un appassionato di pesca che riesce a dire con naturalezza la frase: «Felicità è fissare il galleggiante che va giù». Collegando l’evento all’agonia di una carpa, non alla messa in moto dello sciacquone. Ma ore passate nell’immoto lago ad aspettare un simile guizzo del destino l’hanno esposto al disinganno dell’esca e alla riflessione nell’acqua. A 33 anni gli è chiaro che poco sta a galla: un momento ti tirano su con gran schiamazzo, un altro ti ributtano nello stagno limaccioso. Invecchi, poi rinasci. Sarà che hai capito tutto o che non c’era niente da capire. E comunque a Roma mica ci sei venuto a sbattezzare i sanpietrini, ma a fare l’unica cosa buona e giusta: tiro-gol. Dopo di ché, con rispetto dei papali anatemi, bisogna lasciar spazio al relativismo. E dire due cose. La prima è che la grandezza di Klose è ingigantita dalla piccineria del resto. Lui sarà anche un leader, uno che si è caricato la squadra sulle spalle, dando lezioni di tattica a Rocchi e Lulic mentre aspettano l’aereo, ma è atterrato in un campionato minore, dove regna ancora Di Natale che ha più anni di lui e, come lui a ogni campionato vede sbucare un Renzi qualsiasi che consulta lo smartphone e proclama: «Questo qui ha finito la benzina, è da rottamare». In realtà è più bello innamorarsi a primavera che della primavera: vacci te in Champions con Destro e Gabbiadini. Ma c’è una seconda cosa che va detta prima di passare agli archivi del cinema muto la non esultanza di Klose. È che gli si confà, ma non l’ha scelta lui. Guardate, era soltanto settembre, che cosa accade dopo il gol del 2 a 1 a Cesena. Fa un salto mortale e atterra non perfettamente, un altro po’ e ci lascia la gamba. Dalla Germania gli hanno fatto sapere che se ci tiene alla maglia della nazionale segni quanto può, ma poi stia calmo. E lui ha obbedito, tornando a essere l’uomo di marmo che era e sempre sarà.


Rassegna stampa a cura di Gente Laziale tratta dalla Repubblica

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